• Collezione: Dipartimento di Giurisprudenza

Diritti e doveri oltre l'emergenza? Dalla pandemia Covid-19 verso nuovi modelli di convivenza

Questa pubblicazione rappresenta la seconda tappa di un percorso avviato lo scorso anno, con l’intento di elaborare, a partire dalle lezioni svolte nel contesto della Scuola di Cittadinanza Torino – Cuneo organizzata dal Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Torino, una riflessione sui diritti e i doveri di cittadinanza nel tempo presente. L’edizione di quest’anno è maturata in un contesto (reale, ed anche politico e mediatico) nel quale l’emergenza derivante dalla pandemia Covid-19, pure sempre presente e centrale, è risultata in qualche modo per lo meno prevista, messa in conto. E maggiormente “gestita”, pur tra tensioni e contraddizioni, sia dal punto di vista sanitario che dal punto di vista delle regole del vivere civile. Con la prospettiva di un processo che conduca, auspicabilmente, “oltre l’emergenza”. Sulla base di questa cifra del tempo presente che ci è parso di cogliere e che abbiamo provato ad interpretare, l’edizione della Scuola di Cittadinanza di quest’anno, nella volontà di dare una continuità ma anche uno sviluppo alle riflessioni dello scorso anno, si è soprattutto interrogata sui riflessi – su una varietà di ambiti comunque connessi a diritti e doveri fondamentali – di questa fase di lunga, incompiuta, a volte controversa fuoriuscita dall’emergenza. Alla seconda parte del presente Volume, che raccoglie i contributi elaborati a partire dalle lezioni della Scuola tenute nell’anno 2021, si è scelto di anteporre una prima parte destinata, da un lato, ad approfondire il tema dell’insegnamento dell’educazione civica nella scuola primaria e secondaria (tema centrale nella prospettiva della Scuola di Cittadinanza e del dialogo auspicato tra Università e scuola sul tema dei diritti e dei doveri fondamentali), e dall’altra parte a valorizzare i contributi di giovani studiosi che, con ruoli diversi e in fasi diverse del loro percorso, si sono confrontati con il mondo della ricerca universitaria, in uno spirito complessivo di dialogo tra punti di vista, esperienze e persino linguaggi diversi.

Il pubblico concorso come funzione amministrativa

Il pubblico concorso si è affermato a partire dall'epoca moderna come modello di selezione di funzionari pubblici fedeli e capaci, necessario ad assicurare l’adeguatezza dell’organizzazione pubblica all'esercizio dei compiti attribuitile dall'ordinamento (art. 118, comma 1, Cost.). A partire dalle dichiarazioni liberali dei diritti di fine ‘700, il riconoscimento dell’eguale diritto di accesso dei cittadini agli impieghi pubblici (art. 51, comma 1, Cost.) ha offerto al concorso una legittimazione ulteriore, in cui si coglie una delle più profonde ragioni della procedimentalizzazione che lo caratterizza. Non è dunque un caso che l’evoluzione verso l’adozione di strumenti giuridici di diritto privato non abbia coinvolto il concorso. Questo resta al contrario un insuperabile principio di organizzazione (art. 97, comma 4 Cost.), che si afferma ogni qual volta siano affidati a un apparato compiti d’interesse pubblico, a prescindere dalla natura giuridica di diritto privato a esso “accidentalmente” attribuita, recando con sé la disciplina procedimentale. La procedimentalizzazione garantisce la controllabilità e il sindacato secondo i vizi di violazione di legge, incompetenza e, soprattutto, di eccesso di potere, secondo un carattere che non trova equivalenti nella disciplina del lavoro nell'impresa. Le critiche più frequentemente opposte al concorso, che ne rilevano l’incapacità di selezionare effettivamente i migliori candidati, investono in realtà i contenuti delle prove o la selezione dei commissari, piuttosto che il carattere di diritto pubblico del modello; a esse può farsi efficacemente fronte con l’adozione di strumenti di intelligenza artificiale, capaci di automatizzare almeno in parte i procedimenti di selezione, oltreché di correlare i fabbisogni di professionalità alla capacità amministrativa degli enti. La correlazione tra interesse pubblico, procedimento amministrativo e atto amministrativo propria del concorso reca con sé la giurisdizione amministrativa che offre una tutela penetrante alle ragioni dell’interesse pubblico grazie al sindacato di eccesso di potere e, ancora più, grazie a una tutela costituiva che ha stentato ad affermarsi innanzi al giudice ordinario incaricato del contenzioso sul lavoro nelle pubbliche amministrazioni.

Il sistema dei rimedi post-iudicatum in adeguamento alle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo

Ormai da tempo il principio di intangibilità del giudicato penale è oggetto di un inarrestabile “processo erosivo”, tra l’altro per via dei riflessi, nell’ordinamento interno, della normativa internazionale a tutela dei diritti umani. Il riferimento va, in particolare, all’obbligo, per ciascuno Stato membro del Consiglio d’Europa, di dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che riscontrino una violazione, ad opera di quello Stato, delle garanzie convenzionali: considerato, infatti, che la Corte europea può essere adita solo previo esaurimento delle vie di ricorso interne, l’adozione delle misure, diverse da una mera riparazione pecuniaria, prescritte dalla Corte stessa a ristoro dell’accertata violazione, si pone di regola a valle del giudicato, ciò che può imporne la cessazione degli effetti, la modifica o la rimozione. Nella pressoché totale inerzia del legislatore, la “via italiana” all’individuazione di un rimedio post-iudicatum in adeguamento ai canoni convenzionali si è rivelata assai tortuosa, passando prima per soluzioni meramente “pretorie”, poi per l’intervento additivo con cui la Corte costituzionale ha introdotto la revisione “europea”, peraltro inidonea ad offrire copertura esaustiva, a fronte dell’eterogeneità delle violazioni convenzionali e delle relative prescrizioni riparatorie. Di qui, per effetto ancora dell’“azione combinata” della giurisprudenza ordinaria e costituzionale, strade ulteriori sono state percorse, in particolare attraverso una lettura estensiva – se non analogica – dei poteri attribuiti dalla legge al giudice dell’esecuzione. Ciò, anche nell’ambito di una controversa tendenza “soggettivamente espansiva” dell’obbligo esecutivo ex art. 46 CEDU, volta ad estendere la caducazione del giudicato a soggetti diversi dal ricorrente a Strasburgo, che versino in condizioni analoghe al primo. In un siffatto contesto, il libro si propone, anzitutto, di ricostruire i presupposti, l’ambito applicativo e le difficoltà operative della revisione “europea” e di alcuni strumenti “limitrofi” di caducazione del giudicato “convenzionalmente illegittimo”, nell’intento di ricondurre a sistema uno stato dell’arte che sconta l’handicap della propria matrice giurisprudenziale. Allo stesso tempo, in un momento storico che non registra nuove iniziative legislative in materia, lo studio intende fornire qualche spunto de iure condendo, nell’auspicio di rialimentare un dibattito che sarebbe riduttivo ritenere definitivamente superato dalla supplenza giurisprudenziale.

“Quale formazione per quale giurista?”Insegnare il diritto nella prospettiva socio-giuridica

Quali connotati deve assumere la formazione del giurista del XXI secolo? Il giurista tradizionale interprete dei testi di legge può oggi limitarsi a questo o deve tornare a conoscere i con-testi entro i quali tale interpretazione produce i suoi effetti? Si tratta di questioni che la comunità scientifica dei sociologi del diritto avverte come prioritarie e che hanno costituito il focus di iniziative ed occasioni di dibattito promosse dall’Associazione di Studi Diritto e Società. In tale prospettiva, il volume raccoglie alcune riflessioni su esperienze didattiche che in questi anni hanno cercato di fornire delle risposte alla diffusa sensazione di inadeguatezza dei modi tradizionali di insegnare il diritto, mettendo in rilievo come, da tale punto di vista, la sociologia del diritto possa offrire un contributo decisivo al rinnovamento della cultura giuridica dei giuristi.

Razionalizzazione del pluralismo giuridico e Panchayati Raj in India

Partendo da un’analisi della letteratura storico-amministrativa coloniale in materia di villaggio e local governance, il presente lavoro indaga il flusso di modelli e categorie del discorso giuridico dal periodo coloniale all’India indipendente. In particolare, tratteggiando diacronicamente e sincronicamente le politiche di gestione del pluralismo giuridico in India con riferimento all’amministrazione locale della giustizia, si esaminano l’evoluzione socio-giuridica della panchayat e i processi di ibridazione e mutuazione avvenuti tra state e non-state justice institutions.

Scritti in onore di Franco Pizzetti

I 64 contributi contenuti nei due Volumi degli Scritti in onore di Franco Pizzetti costituiscono la prova evidente dei suoi molteplici interessi scientifici e spaziano dai temi del regionalismo a quelli degli enti locali; dalla forma di governo e le riforme - istituzionali e costituzionali - al ruolo dello Stato nella regolazione anche economico-finanziaria; dalle Corti costituzionali ai diritti costituzionali; dal diritto amministrativo alla storia del diritto. Non vi è, infatti, alcuno di questi temi su cui Franco Pizzetti non abbia riflettuto e poi scritto sempre animato dall’idea che con lo scritto ci si pone inevitabilmente in dialogo con comunità diverse che costituiscono gli interlocutori naturali ed ineludibili del discorso pubblico: la comunità accademica, la società civile e quella politica.

Regionalismo differenziato e specialità regionale: problemi e prospettive Atti del IV Convegno annuale della rivista "Diritti regionali. Rivista di diritto delle autonomie territoriali"

L’ultimo biennio ha segnato nel nostro Paese, dopo i primi tentativi di attuazione risalenti al 2003, la decisa – e forse più convinta – ripresa del tema del regionalismo differenziato di cui all’art. 116, co. 3, Cost. Questo processo trova origine in un ‘clima culturale’ persistentemente influenzato da istanze di tipo autonomistico, nonché in quello che taluni hanno definito l’«uso congiunturale» dell’autonomia da parte delle forze politiche, strumentale alle rispettive convenienze politico-elettorali del momento. La differenziazione regionale ha suscitato sin da principio l’interesse della dottrina costituzionalistica, che si è interrogata sui suoi molti nodi problematici, riconducibili a due fondamentali questioni: la prima riguarda il modello di differenziazione delineato dall’art. 116, co. 3, Cost. e la necessità di inserirlo nel sistema di rapporti tra il livello di governo centrale e quelli periferici, oltre che il possibile grado di differenziazione all’interno di una Repubblica che è, e deve essere, «una e indivisibile». La seconda questione coinvolge il nodo delle risorse e degli equilibri della finanza pubblica, in relazione al quale si contrappongono due modelli di differenziazione regionale: meramente «organizzativa», da un lato, e «competitiva» dall’altro lato, il primo dei quali appare peraltro il solo compatibile con l’assetto costituzionale vigente. Il Volume raccoglie in particolare gli Atti del IV Convegno annuale della Rivista Diritti regionali. Rivista di diritto delle autonomie territoriali, svoltosi il 21 giugno 2019 presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino. Oltre alle cinque relazioni principali e all’intervento conclusivo, esso contiene gli scritti di studiosi di tutta Italia, aventi ad oggetto le seguenti macro-tematiche: “Federalismo asimmetrico e regionalismo differenziato”, “Gli ambiti materiali e i modelli della differenziazione regionale” e “Regionalismo differenziato, sistema finanziario e specialità regionale”. Il Volume intende presentarsi alla comunità scientifica come una ‘riflessione corale’ sul regionalismo differenziato.

Il Diritto Comparato e la Blockchain

La monografia esamina il rapporto fra la tecnologia globale ed i diritti nazionali attraverso il caso della blockchain. Si discute, in particolare, se la «rivoluzione tecnologica» costituisca un potere sovranazionale e capace di sovvertire la configurazione tradizionale dell’ordinamento giuridico, limitandone la funzione regolatrice dei rapporti socio-economici. A tale fine, il libro introduce, nella prima parte, le nuove geografie delle reti blockchain nel quadro concettuale offerto dalla dottrina del diritto comparato, analizza i formanti del «diritto» in detti contesti (i.e. l’architettura tecnologica, il mercato, le norme sociali ed il diritto statale) e si sofferma sul «nuovo» diritto privato che è il frutto della creatività dei programmatori (i.e. persona, proprietà e contratto). Nella seconda parte, il libro delinea il rapporto fra la tecnologia globale ed i diritti nazionali (i.e. conflitto di legge) e considera alcuni degli aspetti critici di tale rapporto, quali: il riconoscimento di tale innovazione nel diritto nazionale ed europeo, i modelli nazionali di regolamentazione delle criptovalute ed il rapporto fra la figura dello smart contract ed il diritto dei contratti. Nella terza parte, il libro sviluppa un’analisi critica della tecnologia intesa alla stregua di un «diritto globale», fermando l’attenzione su alcuni dei temi fondamentali della comparazione contemporanea, quali: il ruolo poteri privati globali, l’evoluzione della lex mercatoria (nel nostro caso definita: lex mercatoria ex machina) e la funzione regolatrice del contratto nei mercati digitali. L’ultimo capitolo del libro esamina i modelli di regolazione della blockchain e, infine, delinea alcuni degli strumenti utili per affrontare le problematiche emerse e disegnare un’evoluzione della regolazione giuridica basata sul mutamento del rapporto tra diritto e tecnologia.

L'inammissibilità nel giudizio di cassazione

La situazione di crisi in cui versa la Corte di cassazione civile è nota, al punto che da tempo si parla di una Corte "sotto assedio". Sulle numerose soluzioni proposte per alleggerire il carico di lavoro della Corte o, perlomeno, per rendere la gestione di quel carico maggiormente efficiente incombe tuttavia la garanzia del giusto processo di cui all'art. 111, comma 7, Cost., in base al quale è sempre ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge. La possibilità di proporre ricorso per cassazione sempre e comunque pone allora il problema di individuare i limiti dell'istituto dell’inammissibilità nel giudizio di legittimità, in particolar modo in seguito all'introduzione dell'art. 360 bis c.p.c., che contempla l'inammissibilità del ricorso in talune ipotesi di manifesta infondatezza dei motivi. Nel presente volume, dopo aver ripercorso presupposti e caratteristiche della nozione di inammissibilità, l'Autore indaga dunque in che misura sia oggi necessario ridefinire tale nozione nel giudizio di cassazione ed in che misura ciò si dimostri funzionale a consentire alla Corte di selezionare i ricorsi in maniera realmente efficiente. L'analisi dei temi trattati, e in particolar modo le ipotesi di inammissibilità del ricorso nonché l'aspetto procedimentale della relativa dichiarazione, viene sempre condotta con uno sguardo ad alcuni sistemi processuali ritenuti dall'Autore particolarmente efficientisti nell'impiego dell'inammissibilità, ovvero al giudizio di cassazione penale italiano, a quello di cassazione civile francese ed infine al sistema di ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo.

Gli edifici di culto come beni culturali in Italia. Nuovi scenari per la gestione e il riuso delle chiese cattoliche tra diritto canonico e diritto statale

Il volume affronta i temi della gestione e del riuso degli edifici di culto e, nello specifico, delle chiese cattoliche, quali beni culturali di interesse religioso in Italia. Ricostruita la complessa disciplina sottesa alla “dimissione” – riduzione ad uso profano non indecoroso ex can. 1222 § 2 – e alla “dismissione” – trasferimento di proprietà – delle chiese, l’esposizione prosegue con la disamina di casi concreti di riuso, verificatisi nell’Arcidiocesi di Torino tra il 1978 e il 2019. Una volta inquadrati gli edifici di culto dimessi tra i “beni comuni”, si individuano nei patti di collaborazione, nella fondazione di partecipazione e nel trust i nuovi modelli di governance, inclusivi e sostenibili, che potranno trasformare questi immobili sovrabbondanti in una risorsa per lo sviluppo sociale, economico e culturale delle comunità territoriali di riferimento.